Pastori transumanti

Consuetudini sociali
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Dalla preistoria

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In breve

La pastorizia bergamasca racchiude in sé una storia millenaria. Una storia preziosa, la cui origine si perde e le cui tracce si smarriscono, riportandoci con la mente a tempi antichissimi, quando l’uomo era ancora nomade e viveva rincorrendo i ritmi delle stagioni.

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Storia e descrizione

Si tratta di un’attività, quella pastorale, che costringe l’uomo a spostarsi, a essere ramingo (‘ndà a remènch, in dialetto bergamasco, indica proprio l’andare in pianura da ottobre a marzo), ad avventurarsi in terre straniere e spesso ostili, per garantire il benessere delle proprie greggi e la sopravvivenza della propria comunità.

Sappiamo di certo che pastori furono gli antichi Orobi e che, da allora, la pastorizia sarebbe divenuta una delle principali attività produttive della media e alta ValSeriana, con particolare riferimento all’altopiano di Bossico e quello di Clusone. Nell’arco dei secoli, infatti, l’allevamento ovino transumante avrebbe garantito carni ricche di proteine nobili e lana per la lavorazione del panno: industria fiorente nel bergamasco dall’XI fino almeno al XVIII secolo, epoca della sua definitiva sopraffazione da parte dell’arte della seta. Da questo momento, complice anche l’ostilità degli agricoltori padani, la pastorizia sarebbe entrata in una rapida crisi, mantenutasi costante fino al secondo dopoguerra, per poi risollevarsi verso la fine del Novecento grazie a una neonata volontà di recupero dei mestieri tradizionali.

In linea di principio, anche se gli esperti sono tutt’altro che concordi su questo, si può dire che le strette valli bergamasche hanno facilitato lo sviluppo dell’allevamento ovino transumante, che sfrutta l’acclività del territorio. Più in generale ancora, la pastorizia come attività umana, è da considerare in funzione dell’asprezza dell’ambiente montano, che avrebbe costretto gli insediati alla ricerca di modalità alternative di sfruttamento delle risorse rispettoalla coltivazione della terra. Lo studio del pastoralismo, si rivela così un efficace antidoto agli stereotipi della montagna come luogo incontaminato: agente di costruzione del paesaggio in chiave ecologica e sostenibile da un lato, dall’altro rilevatore di una reticolarità e di una complessità multiscalare che scardina la visione delle comunità montane come chiuse in se stesse.

È dunque in questa forma millenaria di sapere e di conoscenza del territorio che dobbiamo rintracciare oggi un patrimonio immateriale di inestimabile valore da riconoscere e salvaguardare.

La transumanza
La transumanza è la migrazione delle greggi e dei pastori e consiste nel passaggio dai pascoli alla pianura, alla ricerca della tanto agognata batìda (la zona dove far pascolare le pecore e trascorrere l’inverno), e ancora nel ritorno dalla pianura alle terre alte in primavera. È proprio questa attività che rende la pastorizia una pratica nomade. La partenza e il ritorno dei pastori e delle greggi ha rappresentato un evento comunitario di grandissima importanza: separazione familiare di uomini, padri e giovani con tutti i rischi e pericoli che questo comportava, lasciando donne forti e indipendenti a guardia del focolare domestico nei lunghissimi inverni; ma anche gioioso ritorno nell’effervescenza della primavera con notizie e racconti dal “mondo esterno” portati dai pastori.

I tempi e i luoghi della transumanza bergamasca sono in realtà molto più articolati del semplice “andata e ritorno dalla pianura”, potremmo meglio specificarli in questo modo:

  • da ottobre a marzo: ‘ndà a remènch (“andar ramingo) ovvero scendere in pianura in cerca dellabatìda;
  • da marzo a maggio: ‘ndà ‘n paìs a tusà, tornare in paese per la tosatura primaverile;
  • da maggio a luglio: ‘ndà a tempurìt, andare al pascolo “temporaneo” al di sotto dei 1500 metri, periodo che prelude alla salita ai pascoli alti e che serve per acclimatare il gregge a abituarlo alla vegetazione più fresca;
  • da luglio a settembre: ‘ndà ì mut (lett. “andare ai monti”) andare al pascolo al di sopra dei 2000 metri;
  • da settembre a ottobre: ‘ndà ‘n paìs a tusà, tornare in paese per la tosatura

La transumanza è un’attività umana di almeno 5000 anni, riconosciuta Patrimonio Immateriale dell’Umanitàdall’UNESCO nel 2019. Ad oggi, di certo, non avviene più come un tempo, i pastori si sono dotati di smartphone, roulottes e camion per trasportare il bestiame; tuttavia, in alcuni paesi di montagna è spesso possibile assistere allo spostamento delle greggi o delle mandrie da una zona pascoliva all’altra.
Tra le cause del declino della pratica transumante abbiamo: l’inasprirsi della rivalità con gli agricoltori che vede quest’ultimi vincitori, grazie al diffondersi delle colture intensive; l’arrivo della modernità, delle fabbriche e della vita agiata; la fine del fabbisogno laniero e non ultimo l’aumento del traffico stradale.

Perciò, qualora vi dovesse capitare di venire fermati in auto a causa del passaggio di bestiame, non inferocitevi, ma godetevi lo spettacolo.

In ValSeriana sono in particolare due i paesi legati alla pastorizia e impegnati nel portare avanti la valorizzazione del lavoro dei pastori: Parre, che dal 2023 ha dato vita alla "Santùsa del tacolèr", la festa dei pastori, e Ardesio, dove ogni anno, nel mese di luglio a Valcanale si festeggia il passaggio del bestiame del pastore Renato.

 

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Valcanale, pienone per la Transumanza, Antenna2 TV

Transumanza a Valcanale, Fabio Barbalini

L'Ultimo Pastore - Trailer, Anna Godano

Parre, festa dei pastori con la transumanza, Antenna2 TV

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Bibliografia

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  • A. Carissoni, Pastori. La pastorizia bergamasca e il vocabolario Gaì, Edizioni Villadiseriane, Villa di Serio (BG), 2004
  • Corti M. (a cura di), La Transumanza tra storia e presente, Edizioni Festival Pastoralismo, Corna d’Imagna, 2019
  • Volpi L., Usi Costumi e Tradizioni Bergamasche, (1937), Il Conventino di Bergamo, Bergamo, 1978

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28 Giugno 2024

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