Costöm de Par

Consuetudini sociali
Informazioni

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Datazione

Dalla seconda metà del 1600

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In breve

Unico nel suo genere, il costume di Parre è un abito tradizionale indossato abitualmente dai parreschi fino a inizio Novecento, quando, con l’arrivo della modernità e dell’industrializzazione, si diffusero vestiti più pratici e adatti al lavoro.

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Storia e descrizione

L’origine del costume è una questione assai intricata. A tal proposito vi sono alcune ipotesi incerte, tramandate in forma orale, ma che comunque val la pena riportare. La prima vede come data cruciale il 1630, anno della peste manzionana: la tragedia dell’epidemia avrebbe infatti indotto le donne locali a vestire un abito devozionale per ottenere la grazia dalla Vergine e scongiurare la catastrofe. La seconda ipotesi, invece, è molto simile ma riguarda gli uomini: intorno al 1700 i parreschi avrebbero iniziato a vestire il costume come voto per scongiurare una moria di pecore, intorno alle quali gravitava l’economia parrese. In realtà, quest’ultima ipotesi sembrerebbe sconfessata da un documento della Serenissima che attesta ‒ alla fine del Settecento ‒ come il costume di Parre fosse una realtà diffusa già da molte generazioni.

Nel corso dell’Ottocento il costume fa ancora parte della realtà quotidiana e viene studiato da Antonio Tiraboschi, il quale ci riferisce come «I costumi di Parre hanno un’apparenza assai modesta, sebbene possano avere un’importanza superiore a dei più sfarzosi. Il vestiario si compone di tela, di mezza lana, di nastri e di merletti: tutte cose comuni, ma indosso ad un Parresco hanno un significato che non hanno indosso ad altri». È proprio questo “significato” particolare che fa del costume un inestimabile patrimonio culturale immateriale ancor vivo ai giorni nostri. “Significato” che per i parresi coincide con un’identità ben definita e radicata; tanto che ancora oggi alcuni decidono di indossarlo, in occasioni speciali come rievocazioni folcloristiche ma anche feste paesane o momenti liturgici. Con le parole di Angelo Capelli, presidente dell’associazione culturale Costöm de Par: «Non è una mascherata, è la nostra parreschità».

La vita quotidiana

Il costume di Parre non era uguale per tutti, e nemmeno restava sempre lo stesso: a seconda delle occasioni, infatti, il vestiario poteva cambiare, modificandosi a seconda dello “status” – diremmo oggi – della persona che lo indossava. Si tratta dunque di un vestito molto diversificato al proprio interno. Essendo un abito spesso arricchito da fronzoli e merletti, è stato notato come questo potesse essere in contrasto con l’idea di un vestito devozionale che, come ad esempio il saio, avrebbe dovuto presentarsi come piuttosto austero e povero. In effetti, secondo una testimonianza[1], è probabile che iniziamente fu così e che, successivamente, vennero aggiunti degli abbellimenti al costume.

Gli abiti dei fanciulli, per come li descrive il Tiraboschi, hanno la stessa forma di quelli degli adulti, ma a loro vi si aggiunge una specie di corona (detta brèta o brètina) di cartone, rivestita di stoffa e con un fiocco di seta rosso nel centro. Ai ragazzi si aggiungeva inoltre un giubbetto di pannolana bianco (detto gabanina) e lo stesso valeva per le ragazze che indossavano un soprabito bianco con cordoncino rosso alle cuciture (detto bianchetì).

L’abito delle donne era molto diversificato. La camicia si presentava ornata di merletti, sopra la quale veniva indossato un bustino, mentre, per la parte inferiore, si indossava una gonna larga color turchino (tre-ersa) che copriva la persona a partire dal bustino fino ai piedi. Il grembiule (bigaröl) era una parte molto importante del costume: le giovani lo preferivano a quadrettini di vari colori, mentre le signore anziane lo vestivano con lo stesso colore della gonna, le spose lo portavano bianco. Le calze erano indossate bianche se la donna era nubile, se sposata, invece, vestivano di rosso. Similmente, il soprabito (detto polaca) cambiava dopo i 18-20 anni (anche questo è comunque da connettere al matrimonio) passando da un color bianco al castagnolo; idem per l’acconciatura: a seguito di questo passaggio d’età, si passa dal portare il mazzocchio (cucù) a una pettinatura unica nel suo genere che vede raccolte dietro la nuca due trecce. Le scarpe che venivano utilizzate per andare a far legna nel bosco venivano chiamate scarpinòc (da cui il nome dei celebri ravioli), le scarpe göse, invece, erano un altro tipo di scarpe appuntite. Vi era poi un abito particolare che veniva indossato la domenica: in questo caso il capo veniva coperto da un panno di lino bianco detto panisèl, legato sotto il mento e con due lembi che scendono sulla schiena; questo modo di portare il “panniccello”, stando a quanto riferisce il Tiraboschi, non ha precedenti in nessun’altra zona della provincia. Grande attenzione veniva infine riservata alle decorazioni e molta importanza avevano i merletti, diversificati a seconda delle occasioni.

Per quanto riguarda infine il vestiario dell’uomo, anche questo si distingue in base all’occasione. Il vestito da lavoro coincideva con il vestito del pastore, il quale portava: pantaloni corti fino alle ginocchia, il resto della gamba era coperto da ghette che si allargavano a forma di campana (campanele); una giubba di mezzalana come le brache e un panciotto (bustì, gipù) di panno bianco o rosso con bottoni luccicanti. Infine, nella stagione fredda non poteva di certo mancare il gabà, l’ampio mantello tipico del pastore, insieme al cappello alto.

Le azioni di tutela e valorizzazione
A partire dagli anni Cinquanta, quando erano ormai solo gli anziani ad indossare ancora il costume tradizionale ‒ spesso in modo incompleto, ibridato ‒ e anche nelle province più remote giungeva il vento innovatore della modernità, si incominciò a riscoprire quasi nostalgicamente il valore culturale e umano della vita contadina, fatta sì di fatica e durezza ma allo stesso tempo di semplicità e tranquillità. La consapevolezza del valore intrinseco di quelle usanze fu probabilmente accresciuta anche dalla visita dell’americano Alan Lomax, che proprio a Parre registrò i canti popolari, altro grande elemento che scandiva il ritmo della vita quotidiana e del lavoro. Così, pian piano gli abitanti di Parre cominciarono a tirar fuori i vecchi costumi dalle cassapanche delle nonne e a guardarli con occhi nuovi. Si sentì da subito il bisogno di preservare quelle tradizioni di secoli, sempre più minacciate dai cambiamenti repentini portati dalle industrie pesanti, che spuntavano come funghi nel territorio seriano.

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Enti e associazioni impegnate nella tutela e valorizzazione

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Associazione Costöm de Par

Comune di Parre

Pro Loco Parre

Bibliografia

R. Ravanelli e S. Vavassori, C’era una volta Bergamo, in “Notiziario mensile della Banca Popolare di Bergamo, aprile, 1977

A. Tiraboschi, Corrispondenza, t. VI, II

AA.VV, Cultura di un paese. Ricerca a Parre, in “Mondo popolare in Lombaria”, n. 6, Silvana Editoriale, Milano, 1978

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28 Giugno 2024

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